Un’operaia incinta si ritrova disoccupata alla vigilia del parto. La donna è disperata e la sua reazione è improvvisa: irrompe sul posto di lavoro e prende in ostaggio la responsabile del suo licenziamento. Una vicenda vissuta tutta in una notte, in cui si incrociano i destini di uomini e donne normalmente distanti tra loro: una fredda dirigente d’azienda piegata alle leggi di mercato, un’ingenua poliziotta di provincia, un transessuale sarcastico e disilluso, una saggia donna delle pulizie fissata con le canzonette e un bambino che sta per nascere …e se decidesse di venire al mondo proprio quella notte?
Una sola attrice in scena interpreta tutti i protagonisti di questa storia in un monologo esilarante e dissacrante.
Un autentico capolavoro tragicomico, figlio dei nostri tempi, pronto a sorprendervi commossi e divertiti.
Di Massimiliano Bruno
Con Gaia Nanni e Gabriele Doria
Regia Marco Contè
Produzione Teatro popolare d’arte
Consulenza artistica Gianfranco Pedullà
Gaia Nanni, candidata ai premi UBU nel 2013 come migliore attrice, si cimenta con successo in un monologo scritto da Massimiliano Bruno, sul palco assieme a lei il musicista Gabriele Doria il cui talento cuce, sottolinea e amplifica tutta la struttura narrativa.
Massimiliano Bruno
Scrive Gli Ultimi Saranno Ultimi nel 2005 ed esattamente dieci anni dopo, nel 2015, esce al cinema la versione cinematografica con un cast d’eccezione tra cui spiccano Cortellesi, Gassman e Bentivoglio.
Dal 7 al 10 marzo 2013 “La Meccanica dell’Amore” con Alessandro Riccio e Gaia Nanni al Teatro Lumière, in via di Ripoli, 231. E’ la storia di Orlando, anziano e bisbetico signore solitario. Ogni tentativo di avvicinarlo è impossibile. Ma il caso vuole che abbia bisogno di una cameriera meccanica, l’ultimo ritrovato della tecnologia. Due mondi lontanissimi si incontrano: la testardaggine dell’anzianità con la mancanza di elasticità della macchina. Tecnologia e solitudine. Poesia e meccanica. Alessandro Riccio è affiancato dalla straordinaria Gaia Nanni nei panni di un impressionante robot per un duetto pieno di piccole sfumature e grandi risate.
In King Lear, fra i tanti temi, Shakespeare parla di un difficile passaggio di poteri fra le generazioni di un‟arcaica e mitica Inghilterra. Qualcosa di simile sembra accadere nella nostra epoca, dove la comunicazione fra padri e figli appare sbilanciata a favore di adulti sempre giovanili, giovani che – per molti motivi (culturali, lavorativi, sociali) – faticano a imporre la loro funzione sociale e non riescono a diventare adulti. Forse la morte ci fa più paura e una briciola di potere lusinga più del dovuto le nostre fragili vite. Mettere in scena RE LEAR è come salire su una montagna e gettare un lungo e pietoso sguardo sul mondo, sulle conquiste e sulle cadute degli uomini. Una montagna misteriosa che, scalandola, svela lentamente la grandezza e la piccolezza del genere umano. Le rivalità, la competizione sfrenata, riportano gli uomini e le donne allo stato bestiale, alla violenza, alla guerra sterminatrice. L‟avidità di potere scatena – parafrasando Marx – gli „spiriti selvaggi‟ della specie umana. E‟ allora che si rompono i legami di solidarietà fra giovani e vecchi, fra padri e figli, tra fratelli e sorelle; e la vita umana si chiude nell‟individualismo cieco, nella solitudine aggressiva, nella sofferenza e nell‟insofferenza. Resta solo spazio per tamburi e rituali di guerra, alla fine della quale la terra appare devastata e desolata; un deserto che solo una nuova generazione di giovani onesti – e eticamente motivati – può sperare di seminare e fecondare con pazienza, tenacia e nuovo respiro. Ho provato a collocare questa storia in un tempo arcaico, prima della modernità. Alcune suggestioni sono rintracciabili – sia pure sullo sfondo – in un certo cinema di Pasolini (Edipo Re e Medea) e altre nella lezione teatrale di Peter Brook, maestro di essenzialità scenica e leggerezza recitativa.
Quattro manager, tre uomini e una donna, chiusi in una stanza, sono pronti a battersi, senza esclusione di colpi, per un posto di direttore generale per una multinazionale giapponese. Ciascuno contro tutti o almeno questo è quello che credono. Ma la stessa azienda dichiara che tra i quattro c’è infiltrato, uno psicologo. Ma chi è? E sarà vero? Seguendo le regole di un gioco crudele, i quattro accettano di affrontare strane prove attitudinali e di rivelare agli altri i propri segreti più imbarazzanti, pronti anche a umiliarsi pur di guadagnare l’ambito posto. Ciascuno inganna l’altro, subisce l’inganno e inganna se stesso. Sfruttando la struttura e il ritmo del thriller, l’autore mescola indizi veri con piste false che alimentano continui colpi di scena portando lo spettatore a un sorprendente finale che ribalterà tutte le convinzioni acquisite fino a quel momento.
Un capolavoro del teatro contemporaneo che per tre stagioni ha monopolizzato il cartellone di Barcellona con un successo clamoroso.